07 Mag Oltre il Coronavirus: è arrivato il momento di re-investire in Sanità?
di Pasquale Antonio Riccio
L’emergenza COVID-19 ha prepotentemente portato al centro del dibattito la situazione della sanità italiana ed in particolare l’importante ruolo svolto da tutto il personale operante in questo fondamentale e strategico settore. Si sono scritte, come spesso accade in questi momenti, pagine su pagine per tessere gli elogi – meritatissimi – di chi ha combattuto in prima linea la battaglia a questa nuova malattia per salvare vite e trovare una cura che possa consentirci di ritornare alla normalità (non dimentichiamo che molti sono i medici impegnati anche nella ricerca scientifica), eppure per fare in modo che alcune delle criticità emerse non restino lettera morta potrebbe essere utile programmare i prossimi investimenti nel settore ripartendo dal racconto di questi giorni e dai dati pubblicati dall’ISTAT lo scorso 6 maggio.
Il rapporto evidenzia che:
– dal 2009 al 2018 gli occupati a tempo indeterminato si sono ridotti (ciò è dovuto anche ai numerosi piani di rientro imposti a diverse Regioni). Sono oltre 40 mila le unità in meno. Questa riduzione ha riguardato il 5,4% dei medici e solo quarto di essa è stata compensata dalla crescita registrata dal lavoro flessibile (circa il 26%).
– l’età media dei dipendenti del personale a tempo indeterminato è pari a 52,3 anni per gli uomini e a 49,9 anni per le donne. Tra questi i dirigenti sono quelli che presentano l’età più alta (il 60,4% dei dirigenti medici ha più i 55 anni e il 38% supera i 60).
– la retribuzione del personale dirigente del comparto è più basso rispetto a quello degli enti pubblici non economici, della Presidenza del Consiglio dei Ministri, della Magistratura e delle Agenzie fiscali. Mentre per il personale non dirigente le retribuzioni sono in linea con il resto della PA.
Questi dati possono offrire una serie di spunti su come affrontare alcune delle difficoltà logistico-operative della sanità, specialmente laddove la capacità e la bravura di molti operatori e dirigenti non sono valorizzate per l’eccessivo carico di lavoro cui sono sottoposti e per i ritardi nel ricambio generazionale. Un rinnovamento che in alcuni casi potrebbe anche favorire (chiaramente non è automatico) uno scatto deciso verso l’adeguamento tecnologico da troppo tempo rimandato in alcune aree del Paese.
Questa crisi potrebbe quindi essere il momento per tornare a riprogrammare l’utilizzo delle risorse e avviare un grande programma di rinnovamento tecnologico, assunzioni e adeguamento degli stipendi per allinearli a quelli di altri enti pubblici.
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Per consultare il rapporto Istat per intero si può cliccare qui: https://www.istat.it/it/archivio/242294